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UN MURALE PER SALVATORE ACCOLLA, ARTISTA ORTIGIANO
di Raimondo Raimondi (pubblicato il 05/02/2022 alle 17:47:24, nella sezione ARTE, 450 letture)

Un grande murale campeggia sulla parete di una casa in Ortigia, all'imbocco della Graziella, nei pressi del carcere borbonico: ritrae Salvatore Accolla e il suo cane Righel. E' un'opera di street art dell'artista brasiliano Marcos Gia Fernando che ha voluto commemorare il pittore ortigiano recentemente scomparso che tutti ricordano con affetto. Durante la sofferta esistenza di Salvatore Accolla abbiamo potuto assistere a uno di quegli eventi strordinari che si sono verificati ogni tanto nella storia dell'arte contemporanea: la scoperta e la condivisione di un artista, che d'improvviso, dai più celati vicoli di Ortigia esplose grazie a giornalisti, critici, mercanti d'arte e alla rappresentazione dei media nazionali, divenendo in un breve lasso di tempo un fenomeno degno di essere esposto nei templi istituzionali dell'arte. Salvatore Accolla è diventato, nell'immaginario di chi ne è venuto a contatto, un personaggio che ha operato nel fiabesco e idillico mondo di Ortigia, un pittore "bohemienne" che viveva alla giornata, ma che nell'arte pittorica aveva ritrovato una dimensione personale, una dignità espressiva, una valvola di sfogo per le sue innate capacità, contrappeso a un quoti¬diano incerto. L'arte per Accolla era la ragion d'essere, il significato-significante dell'umana esistenza, una luce nel buio della vita. E questa passione, questa assoluta unicità di vocazione, traspare tutta nelle sue tele riempite di getto, con pennellate ampie, vigorose, a volte pressoché mo¬nocromatiche, a volte invece capaci di cromatismi delicati ed audaci, rarefatte le forme ai limiti del figurativo, ai confini con l'espressionismo astratto. Una voce del sangue, quella pittura di Accolla, priva di fondamenta teoriche o di stratificazioni culturali, uno spontaneismo incanalato in una tecnica cromatica rapida ma di indubbio effetto. Spesso il pittore eseguiva velocemente le sue opere ma, allorché rallentava i suoi ritmi forsennati, appariva chiara una naturale capacità crea¬tiva e compositiva, insieme ad una inventiva cromatica che negli ultimi tempi veniva più correttamente eseguita e ancor più consapevolmente curata. Era un pittore spontaneo il nostro Salvatore, di sapore naive, affetto da una frenesia creativa che lo portava a dipingere quadri su quadri che un tempo smerciava sui marciapiedi di corso Matteotti ai tanti suoi estimatori che dimostrarono nel tempo di apprezzare la sua arte, la sua vena creativa a volte visionaria, a volte frutto di palpabili tormenti interiori. Questi appassionati hanno assorbito centinaia e centinaia di quadri che troviamo un po’ ovunque: negli uffici pubblici, nei ristoranti, nelle case private. Poi Accolla fece un passo in avanti esponendo le sue opere in varie gallerie d’arte nelle quali ancor più fu tangibile l’attrazione esercitata dai suoi colori e dalle strane forme dei suoi soggetti preferiti. Le sue tele, infatti, rimaste a futura memoria, raffigurano animali, barche, gatti, tetti, arlecchini e rivisitazioni personalissime di opere famose, un infinito caleidoscopio di figurazioni cromatiche, veramente tantissime opere che, comunque le si voglia giudicare, hanno tutte un denominatore comune, una personalissimo linguaggio che, già di per se, è un risultato difficile da raggiungere in campo artistico. La riconoscibilità immediata di un quadro di Accolla, la tipicità della sua tematica e della sua cromia, fa si che, anche quando il soggetto ritratto potrebbe essere giudicato apparentemente banale, l’opera riesce comunque ad assumere una grande valenza estetica. Le opere di Accolla furono presentate al pubblico qualche anno fa nei prestigiosi locali della Galleria Civica di Montevergini a Siracusa ma poi l'artista dovette attendere una appassionata d'arte del nord Daniela Rosi, responsabile Lao Art e docente di "Progettazione per la pittura" all'Accademia di Belle Arti di Verona, che, folgorata sulla via di Ortigia, definì il nostro un artista "fuori serie" organizzandogli a tamburo battente una mostra a Torino, presso il Polo delle Arti Relazionali e Irregolari a Palazzo Barolo, in tal modo arricchendo di un ulteriore importante tassello la sua carriera pittorica. Una parte della produzione di Accolla fu raccolta in un grosso, poderoso volume di 500 pagine che riguarda però soltanto le opere eseguite dal 2001 al 2004, la cosiddetta "Collezione Ortigia" nella quale troviamo campioni esemplari di tutta la vasta tematica del pittore naive. Nel dettaglio, anzitutto animali: cavalli scalpitanti e uccelli in volo a simboleggiare l'anelito verso la libertà, negata all'artista in tanti anni della sua vita tormentata, pazienti asini che tirano carretti e buoi delle campagne siciliane, e i gatti, tanti gatti, i gatti di Ortigia, solenni e sornioni, accanto a un bestiario esotico fatto di leoni, giaguari, elefanti, fascinazione che Salvatore Accolla, come Antonio Ligabue, pittore naive a lui così vicino per vicissitudini di vita e ispirazione pittorica, subiva per quella autorevolezza e insieme ferocia degli animali africani, liberi nelle savane. E poi le barche: panciute, a riposo sulle spiagge e nelle calette, le barche dei pescatori di Ortigia, e ancora composizioni dedicate alla figura del Cristo, testimonianza di una religiosità primitiva di Accolla, e tante tantissime nature morte e infiniti paesaggi, quadri in cui il riferimento a Giorgio Morandi nella coloristica e nelle forme appare evidente per quanto sicuramente spontanea e non voluta. E infine una serie di volti e ritratti che richiamano incredibilmente l'espressionismo tedesco di Otto Dix e di George Grosz. Ebbene c'è di tutto nella pittura di Accolla: tracce perfettamente amalgamate, digerite e rimesse a nuovo nell'abito poetico del pittore di strada, riflessi della memoria di un uomo non colto ma che ha saputo stratificare dentro di se, in modo inconscio, i colori e le tematiche di Matisse, Cezanne, Carrà, De Chirico, Modigliani e Morandi, di tutti quegli artisti che l'hanno preceduto e che hanno fatto della pittura una ricerca non solo estetica ma soprattutto esistenziale. Egli aveva forse un vantaggio su quegli artisti che hanno tentato di ridiventare bambini, quello di esserlo fondamentalmente a dispetto dell'età e delle offese della vita. E i bambini hanno questo potere: più sono ignoranti (nel senso di inconsapevoli delle loro virtù) e più ci forniscono "esempi ricchi di lezioni e si deve per quanto possibile preservarli da ogni corruzione" - come diceva Paul Klee nel suo diario. Ecco, probabilmente questa è una possibile chiave di lettura: la pittura come gioco, come espressione della parte infantile dell'animo umano, laddove, sfuggendo alla razionalità saggia dell'età adulta, la creatività incontra nelle praterie del cielo un mondo fantastico, fiabesco, incontaminato e seducente. Il regista Paolo Boriani effettuò con lui giorni e giorni di riprese per ricavarne un film. Il titolo del lungometraggio fu "Accolla e il cavallino rosso a Siracusa", ambientato in un'isola nell'isola, Ortigia, dov'era la casa di Salvatore Accolla che pareva la casa di Van Gogh, un film che raccontava la storia del pittore, che raccontava la follia. Cosa è follia e cosa non è follia ma genialità incompresa. Ora questo imponente murale di Marcos Gia Fernando, collocato nella Graziella, quartiere di quell'Ortigia che Accolla amava, consegna ai siracusani la memoria di questo artista, sfortunato per le vicissitudini della vita, ma fortunato per aver ricevuto il divino dono della creatività.